Officina cooperativa sociale

La cooperativa sociale Officina è nata nel 1989. Il lavoro in cooperativa era visto come strumento per aiutare persone con problemi di tossicodipendenza a rimettersi in gioco e trovare poi occupazione nelle ditte del territorio. Ma naturalmente questo, per la cooperativa, ha voluto dire creare lavoro vero, quindi essere un’impresa che stava sul mercato (quello della manutenzione del verde), dotandosi di competenze ed attrezzature che negli anni sono state acquisite.
Così è capitato che nel 1991 è arrivato in cooperativa Michele De Milato, un falegname a cui interessava di più - ci dice - “stare con la gente piuttosto che un fare semplice lavoro presso un artigiano”. Da allora vi è rimasto (facendo anche il presidente per 4 anni). L’agronomo Michele Tagliaferro è un altro storico, da sempre anima manageriale della cooperativa. Nicola è invece un giovane tecnico arrivato da poco, con motivazioni simili, per organizzare quotidianamente le squadre di lavoro che operano, attraverso contratti vinti con gara d’appalto, per conto dei Comuni della zona.
“Abbiamo provato anni fa ad aprire una attività di legatoria” racconta De Milato, “perché l’attività del verde si svolge all’aperto, con il caldo torrido ed il gelo, e le potature si fanno salendo in alto con la piattaforma meccanica”. La cooperativa voleva poter offrire mansioni più tranquille a persone con acciacchi fisici o problemi diversi dalla tossicodipendenza. “Ma i numeri dell’economia sono stati spietati ed abbiamo dovuto rinunciare”.
Com’è che nel 2016 la cooperativa passa da 30 a 60 dipendenti? Perché acquisisce un ramo di impresa da una cooperativa in difficoltà. “Più che un calcolo di tipo economico, e considerazioni quali la possibilità di aprirsi al lavoro su nuovi territori con nuovi committenti, è stata centrale la motivazione di tentare di salvaguardare l’occupazione della coop in crisi”. Questa è la mission, queste le (rischiose) scelte.
Del resto, quando una lavoratrice, che chiameremo Giovanna, con una lunga storia di disagio psichico, si è rivolta al sindacato accusando la cooperativa di mobbing, è stato paradossale spiegare al sindacalista, un po’ basito, che Giovanna la cooperativa non voleva espellerla, ma tenersela a tutti i costi. “Dove mai andrebbe? Si chiuderebbe in casa o diventerebbe la matta del villaggio”.
Storie di impresa anche queste…

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